Rendere onore a Renato Zangheri in occasione del centenario della sua nascita non sarà cosa semplice, perché Renato era uno studioso, un ricercatore, un professore e un intellettuale che diceva di sé di essere ‘in prestito alla politica’. Prestito che non trovò mai pause, neppure nelle fasi della sua vita dedicate alla ricerca e all’insegnamento.
Bisogna intendersi ancora più chiaramente sul concetto di prestito: per Renato la politica era intesa nel senso classico e rigoroso del tempo; essa consisteva in una dedizione alla res publica che, in altri momenti, quello dei suoi studi illuministici, era stato autorevolmente definito ‘uso pubblico della ragione’.
Una personalità che si manifesto in più dimensioni, coltivate con strumenti e metodi diversi ma, alla fine, ricomposte in una attività civile di alto spessore culturale, capace di misurarsi con la pratica, la quale portava con sé la necessità del confronto quotidiano dell’amministrazione – direi più propriamente del governo – di una città che per le sue caratteristiche politiche e civili era già cruciale per le politiche sociali dell’intero paese.
Non c’è dubbio, il nome di Renato Zangheri è legato per una larga opinione pubblica al suo ruolo di giovane assessore per il quale il sindaco Dozza istituì l’assessorato alla cultura in una città che stava ancora curando le ferite della guerra, ma, ancor più , a quello di Sindaco, che esercitò dal 1970 al 1984 e che portò, dalla maturazione di iniziative già in fieri, a quella che possiamo individuare come la fase della ‘rivoluzione pacifica’ dei diritti e dei caratteri propri di una città impaziente di crescere.
E, tuttavia, limitare l’attività di Zangheri a questa capacità innovativa nell’esercitare il ruolo di amministratore, e su questo però ritorneremo più avanti, sarebbe in qualche modo limitare, ridurre e, senza dubbio, un po’ appiattire la sua figura.
Si era laureato a Bologna nel 1947 con un maestro di filosofia e di vita civile come Felice Battaglia, sostenendo una tesi sul pensiero socialista (‘Problemi e aspetti del socialismo italiano’), ma iniziò subito la collaborazione scientifica con il prof. Luigi Dal Pane, professore di storia economica, che l’avrebbe portato prima all’Università di Perugia e poi all’Università di Bologna, dove diventa professore ordinario nel 1961 (aveva compiuto il triennio di straordinariato all’Università di Trieste).
Sono gli anni nei quali concentra i suoi studi e le sue ricerche verso i temi del riformismo tardo settecentesco come stanno a dimostrare il volume su ‘Le Campagne emiliane nell’epoca moderna’, ovvero nel cuore del riformismo illuminista e, successivamente, agli studi più maturi come ‘Agricoltura e contadini nella storia d’Italia’, le ‘Origini del Capitalismo’ e altri contributi tra i quali non poteva mancare l’interesse per la storia dell’Emilia-Romagna e per i caratteri propri assunti sul piano nazionale e internazionale dal welfare bolognese.
Nel ’68, in una pausa anch’essa di parziale congedo amministrativo, si concede un proficuo soggiorno all’Università di Reading dove inizia una collaborazione molto fruttuosa con il grande Stuart Wolf, attento studioso della storia d’Italia e fondatore del Centre for Advanced Study of Italian Society; nell’occasione del periodo inglese conosce ed inizia un rapporto, destinato a durare nel tempo, con Piero Sraffa, economista italiano, immigrato per motivi politici in Gran Bretagna e la cui attività scientifica e politica, nota nel mondo, era legata a due importanti personaggi come Keynes e a Wittgenstein, ma risentiva sempre dell’influenza intellettuale e dell’impegno solidale di Antonio Gramsci, che divenne il tramite del suo interesse per Marx e per i marginalisti. Ma lo studioso non cessò mai di seguire la sua passione: nella stagione lasciata libera dall’attività – prima di sindaco, poi di capogruppo dei deputati del PCI – Zangheri riprese i suoi studi sulle vicende del socialismo italiano e della politica. E questa volta, a partire dagli anni ’90, la sua ricerca lo condusse all’approdo al quale aveva pensato fin dagli anni dell’università. Nel 1993 usciva, per l’editore Einaudi, il suo primo volume della ‘Storia del Socialismo Italiano’ seguito, nel ’97, dal secondo, che comprendeva una fondamentale riflessione sulla figura e sulla militanza di Andrea Costa, e da un terzo volume, concluso poco prima della sua scomparsa e di imminente pubblicazione, che concluderà al 1916 il suo itinerario storico. Credo richieda una ulteriore riflessione questo interesse che, dagli esiti della Rivoluzione francese, Zangheri condusse sulla storia delle campagne, dei contadini, della solidarietà mutualistica e della cooperazione, che accompagnò il suo intero percorso di studioso. Ma agli impegni intellettuali ne va aggiunto ancora uno che ebbe rilevanza notevole per la piccola Repubblica di San Marino: Zangheri fu tra i fondatori di quella Università e ne esercitò il ruolo di Rettore fra il 1991 e il 1994.
Ma si diceva dell’intellettuale prestato alla politica: un imopegno attivo che comincia presto e che sarà molto intenso – e altrettanto fruttuoso per il suo partito. Alla fine degli anni ’40, insieme a Emilio Sereni, importante esponente del PCI e studioso del paesaggio agrario italiano – tema che sarà sempre caro a Zangheri – inaugura a Roma l’Istituto Gramsci, che poi tornerà a presiedere dal ’93 al ’99 insieme a Giuseppe Vacca. Nel frattempo, dirige a Bologna la rivista ‘Emilia’ destinata ad avere – per un tempo forse troppo breve come suo interlocutore polemico – la rivista ‘Il Mulino’, destinata ad una più lunga e varia esistenza. Contribuisce, nel ’59, alla nascita della rivista ‘Studi Storici’ che dirigerà successivamente. Per il suo partito, farà parte prima del Comitato centrale e poi della Direzione Nazionale e, da ultimo, eletto alla Camera dei Deputati dopo i mandati di Sindaco, diverrà Presidente del gruppo parlamentare del PCI.
Ci accingiamo e celebrare il centenario della nascita di Renato Zangheri, dunque, ed in questa occasione l’Associazione che abbiamo voluto intitolare al suo nome, coinvolgerà gli eredi di quello che fu il suo partito, il Comune di Bologna e altre istituzioni della città, che non mancheranno di dare il loro contributo.
Credo che nessuno potrà ignorare la figura di Zangheri assessore alla cultura nella giunta Dozza e poi, dopo una pausa di studio, nel 1970 sindaco della città fino al 1983.
Nel riprendere questo argomento, tuttavia, l’Associazione Zangheri vorrebbe sottolineare, tra le molte cose che Zangheri ci ha insegnato e ci ha lasciato, alcuni insegnamenti fondamentali per chi intende darsi o prestarsi alla politica: la buona politica necessita di impegno, di costanza, ma, soprattutto, di studio; la buona amministrazione della città ha bisogno di una buona politica e di una solida cultura; una buona cultura perde molte delle sue qualità se non è operativa e se non sa esercitare con modestia le ragioni di credere nel progresso dell’uomo nella vita di ogni giorno.
Di questi caratteri si sostanzia il fare di Zangheri, della sua amministrazione che non ha certo tradito le attese anche a fronte di contesti difficili.
I quattro anni di assessorato alla cultura della giunta Dozza hanno offerto le condizioni per mettere alla sua prova la sua capacità di intrecciare cultura, politica, seno civico e senso comune; le istituzioni culturali che ha guidato e quelle alle quali ha dato vita (Commissione cinema, Comitato per Bologna Storica e artistica, Istituto per la storia di Bologna) hanno sostenuto e dato un carattere distintivo nel paese ad una città uscita risollevata e ricostruita dai disastri della guerra. Tra le molte iniziative che in quegli hanno preso corpo e vita vorrei limitarmi a dare qualche esempio di quella che, opportunamente, fu definita una ‘rivoluzione pacifica’ la quale si assunse il compito di innalzare il livello complessivo non solo della città ma che ha dato gambe alle potenzialità innovative delle forze della sinistra e dell’opposizione nell’intero paese.
Un breve diario di questo processo potrebbe incominciare dal cosiddetto ‘secondo tempo’ del decentramento ovvero della realtà dei quartieri, che erano già un patrimonio politico della città. I quartieri ricevono però ora strutture e deleghe, competenze quanto autonomie amministrative e politiche. In sostanza si tratta di un arricchimento effettivo della vita democratica che solleva il cittadino dal ruolo di spettatore a quello di attore della vita sociale e politica della città.
Sempre nei primi anni ‘80 una riforma radicale coinvolge la sanità e la scuola: nascono i primi poliambulatori di quartiere, e in anticipo sulla legge Basaglia, i servizi di igiene mentale e la chiusura delle scuole speciali. Grande impulso ha l’iniziativa scolastica comunale, sul piano della scuola materna – che assume un nuovo ruolo didattico ed educativo e apre la strada all’occupazione, all’impegno e alla condizione femminile e che nell’82 trova una ulteriore contributo sociale e civile con l’approvazione da parte dell’amministrazione comunale del Centro di studi e di iniziativa delle donne. Nello stesso periodo, Zangheri, non senza polemiche e incomprensioni, riconosce ufficialmente il Circolo di cultura omosessuale ospitando la sua nuova sede proprio nel cassero di Porta Saragozza. Non risulta marginale neppure la fase iniziale di amicizia dei popoli in lotta per l’emancipazione dal colonialismo e per i primi processi di integrazione che trova nel Centro Amilcar Cabral il suo punto di riferimento.
E qui al cittadino viene affiancata la persona. Quanto alle istituzioni culturali, si può dire che Zangheri riprende il lavoro là dove lo aveva lasciato nel ’67 con lo stesso spirito innovativo: rilancio delle strutture museali, apertura delle biblioteche di quartiere; potenziamento della Commissione cinema animata dalla rivista ‘Bologna Incontri ‘e antesignana della Cineteca, mentre non riesce a mettere radici la proposta di un Teatro stabile; prende quota l’Istituto per la storia di Bologna e dà buoni risultati l’attività artistica ancora incentrata sull’Ente manifestazioni artistiche. A dare nuova linfa al settore delle arti nasce a Bologna il Dams, che troverà la pronta collaborazione del Comune e del sindaco in particolare.
Ho detto che in questa esposizione sulla crescita di Bologna nel corso delle due sindacature di Renato Zangheri, avrei fatto riferimento solo ad alcune delle iniziative che fecero parlare in modo improprio di Bologna come di un modello e così è stato – e mene scuso con il lettore e con la storia. Quello che da ultimo non si può tacere sono le drammatiche vicende che ha vissuto Bologna nel corso della strategia della tensione, dell’eversione fascista, e della lotta armata: qui il ruolo della città e del suo sindaco furono dolorose e difficili. Prima nel ’74 con la strage del treno Italicus il 4 agosto, poi nella rivolta studentesca seguita all’assassinio di Francesco Lorusso, la quale comportò un lungo processo di ricomposizione sociale e politica ai cui caratteri abbiamo fatto rapido cenno, e, ancora, nella terribile strage di marca e disegno fascista, consumata il 2 agosto del 1980 alla stazione di Bologna. Un vero colpo per tutto il Paese, quella strage inaudita della quale il Sindaco Zangheri – insieme al Presidente Pertini – vollero dichiarare la matrice e l’esecuzione fascista dimostrate, poi, dalle conclusioni dei processi condotti dalla magistratura.
Ma su tutto, questo anno del centenario di Zangheri ci porterà a fare tesoro della memoria, anche di queste nostre riflessioni, attraverso le iniziative che dedicheremo a questa figura di grande rilievo, a un cittadino ormai entrato a giusto titolo nella storia.
Riferimenti
- Carlo De Maria, Per il Centenario di Renato Zangheri. Appunti sulla Biografia, Clionet, 2024;
- Vera Zamagni, Renato Zangheri intellettuale e politico, in I maestri dell’economia politica a Bologna nel secondo dopoguerra, Bologna University Press 2022
- Roberto Finzi, Renato Zangheri 1925-2015. Un ricordo in ‘Studi Storici’, a.56, n4,2015
- Enzo Biagi, Intervista a Renato Zangheri, il sindaco di Bologna, Riccardo Franco Levi editore, 1976