È consuetudine degli esseri umani avere, nel corso della esistenza singola che può essere più o meno lunga, qualche momento di incontro e di percezione diretta della Storia più generale che tutti ci avvolge e coinvolge. È ben vero che talune persone son convinte, un poco presuntuosamente, di vivere sempre in sintonia profonda con i fatti del mondo. Se però guardassero più attentamente dentro sé stessi scoprirebbero che anche per loro la Storia, nel suo significato più generale, si è manifestata davvero al massimo un paio di volte. Tutto il resto è sequel.
Del resto, è così, per quanto in momenti sempre diversi, per tutti gli esseri umani. La mia cattolicissima nonna Veronica incontrò la Storia quando un manipolo di fascistelli sardi profanò disgustosamente il Santissimo in una Chiesa di Cuglieri, il nostro paese di origine. I fascisti erano ancora mangiapreti e nonna venne brevemente incarcerata per avere protestato per quella vergogna. Aveva, nella ristrettezza di un piccolo paese sardo, avuto il suo incontro con la Storia che la modificò e le indicò un atteggiamento per la vita.
Dopo avvennero molte altre cose, anche più drammatiche. I figli maschi andarono in guerra, la famiglia di sua nuora (mia madre) si rifugiò in paese per sfuggire ai bombardamenti su Cagliari e così via. Ma erano tutte conseguenze, per quanto importanti, di quel fatto e di quell’atto di coscienza di quindici anni prima. Occorreva agire ed organizzarsi per sopravvivere e andare avanti ma il fascismo (o meglio, la sua percezione del fascismo) era stabilmente collocato in quell’atto volgare e ignominioso e la ribellione che ne conseguì.
Se si riconosce questo fatto occorre anche accettare che il racconto della Storia è squisitamente individuale ma, soprattutto, fondato esattamente sul momento in cui la Storia ci ha parlato. Per restare all’esempio famigliare di cui sopra, pochi anni dopo Mussolini si sarebbe sposato in Chiesa e il Regno d’Italia avrebbe firmato i Patti Lateranensi. Il dramma della Storia si sarebbe ripresentato nell’angoscia per i figli in armi. Un sentimento semplice e condiviso con le altre madri, che non avrebbe necessariamente comportato una valutazione sul regime fascista e una conseguente presa di posizione.
Facciamo, però, un piccolo passo in avanti. Chiediamoci, cioè, se sia la Storia a parlarci con la sua forza o non piuttosto una particolare disponibilità interiore che fa scattare, esattamente in quel momento, la connessione che successivamente ci guiderà e condizionerà nel susseguirsi dei fatti. Quando Paolo di Tarso, percorrendo la strada di Damasco, ha il suo completo incontro con la Entità Superiore cui dedicherà la sua vita dobbiamo per forza pensare che sia stato “pervaso” da un incontenibile potere sopraggiunto dall’alto? O forse potremmo anche accettare l’idea che la sua anima fosse, magari inconsapevolmente, alla ricerca di qualcosa che desse un senso alla sua vita di ebreo romano, persecutore dei primissimi cristiani?
Forse, quindi, forse siamo noi, individualmente, ad autorizzare la Storia a parlarci in quel particolare momento e, quindi, attraverso quel particolare fatto e quella particolare situazione. Da una parte esisterebbe quindi il percorso storico “formale” costituito dal susseguirsi degli eventi storici, dalle interpretazioni storiografiche conseguenti e dalla memorizzazione della intera documentazione corrispondente. Dall’altra, e accanto, la Storia che ognuno di noi costruisce attraverso i momenti in cui essa gli ha parlato ed egli è stato in grado di recepirla. Si tratta di un fenomeno peculiare e interessante. La narrazione della storia umana non è né poesia né arte. Esse sono discipline per cui è normale che si esprimano e vengano comunicate attraverso la fascinazione e il coinvolgimento che sono in grado di realizzare sull’individuo. La storia è, nonostante le tante censure che si sono realizzate nel tempo, un susseguirsi di fatti che dovrebbero essere il più possibile documentati. Da qui, en passant, l’appello di Renzo De Felice a non proporre mai un fatto senza la necessaria documentazione. Essa è, in una peculiare maniera, oggettiva al modo della fisica o della chimica.
E tuttavia sembrerebbe che ognuno la costruisca in base al momento in cui la Storia gli ha parlato e gli è giunta dentro. Tanti anni fa Filippo Maria De Sanctis scrisse un libro intitolato “Il pubblico come autore”. In esso dimostrava come gli spettatori dello stesso film avessero visto e raccontassero ognuno un film diverso dagli altri. Per dimostrare questa sua intuizione ci faceva bloccare le persone alla uscita dalla sala cinematografica e. con la scusa di offrir loro qualcosa da bere, le interrogava sulla trama e sulle immagini del film che avevano appena guardato tutti assieme. A quel punto erano tutti film più o meno diversi che ognuno aveva creato sulla base del proprio stato d’animo e della corrispondenza con una o un’altra scena del film stesso. Spesso litigavano persino fra loro accusandosi di non avere capito o di avere dormito durante la proiezione. Mai avrei pensato, gonfio come ero all’epoca di materialismo storico, che più di cinquant’anni dopo avrei dovuto applicare il ricordo di quegli esaltanti dibattiti a una materia ben più corposa e significativa. Però avrei a quel punto capito la profonda genialità del mio amico Giovanni Minoli quando intitolava una trasmissione “La Storia siamo Noi”. E, tutto sommato, non è poco.