Nel secondo dopoguerra è nato lo stato di Israele accettato e riconosciuto da molti Paesi. La sua popolazione è cresciuta per l’immigrazione massiccia di ebrei sparsi nel mondo. Uno stato basato su un credo religioso, come le repubbliche islamiche. La quasi totalità dei paesi del mondo non ha una analoga base. Il razzismo è un odio nei confronti di una razza, non nei confronti di un credo religioso. L’antisemitismo è la contrarietà al credo religioso ebraico. La politica va giudicato in quanto tale, sui suoi indirizzi, a prescindere dalla nazionalità e dal credo religioso di chi la esercita.
Israele ha sempre ottenuto più spazi territoriali, a seguito delle guerre arabo-israeliane, anche con una politica di acquisizione con forza di insediamenti di propri coloni fuori dai propri confini.
Ciò è stato possibile non solo per la debolezza degli stati confinanti, ma soprattutto per l’inconsistenza della organizzazione politica e istituzionale della Palestina dove sono avvenute le più consistenti espansioni.
Si può ipotizzare una strategia di questo genere: più maltratto i palestinesi più alimento un estremismo ribelle, e, di conseguenza, più ragioni ho per intervenire con la forza?
Hamas è diventato così più seguito e importante della OLP o ANP. E Hamas ha scatenato quel putiferio del 7 ottobre 2023. Hamas e questo suo intervento, secondo la strategia indicata sopra, sono stati lo spunto per una ritorsione israeliana su vasta scala.
La vicenda degli ostaggi ha portato la situazione in un vicolo cieco. Ora è difficile dire che le numerose dimostrazioni di piazza a Tel Aviv siano state fatte da israeliani antisemiti; è più facile dire che le proteste erano contro la politica del governo israeliano. Se gli ebrei hanno patito quell’enorme orrore dell’Olocausto, non per questo possono fare ciò che vogliono, giusto o sbagliato che sia.
Franco Degli Esposti
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Caro Franco, questa modesta rivista si è ripromessa di accettare opinioni diverse (libera, ovviamente, di non accettare notizie o informazioni false o distorte). Quindi, ben venga una lettera come la tua.
Non sono un esperto di storia dello Stato di Israele e, peraltro, mi sento un fermo critico delle politiche di Netanyahu. Credo che l’unica soluzione possibile per affermare una pace duratura in quell’area sia la creazione di due Stati sovrani e che si riconoscano reciprocamente, sotto l’egida, per un periodo utile, di forze internazionali di “peace keeping”.
Sul diritto degli Israeliani ad avere una propria terra, credo che non si possa nemmeno discutere. Chi guidò, dopo la Seconda guerra mondiale e le stragi di cui fu vittima il popolo ebraico (e non solo), l’idea sionista di avere una Patria comunitaria, non furono gli antesignani della destra di Netanyahu bensì, principalmente, i socialisti israeliani, a cominciare da David Ben Gurion a Golda Meir, che ebbe come degno erede Ytzhak Rabin, promotore di quegli accordi di Camp David che dovevano portare alla definitiva scelta dei due Stati, quello Israeliano e quello Palestinese. L’omicidio di Rabin e quello di Sadat impedirono il compimento pieno di quegli accordi. Il governo palestinese del tempo, però, rifiutò, con Arafat, il riconoscimento dello Stato di Israele. Questo contribuì a fermare la realizzazione di un accordo completo e la tutela di entrambi i popoli in due stati confinanti, distinti e pacificati.
Chi vive nell’anelito verso la Libertà e la Giustizia non può che operare perché i popoli progrediscano nel cammino democratico, che favorisce la comprensione verso chi è diverso da noi e la convivenza con i propri vicini. Nel quadro mediorientale, un passo in questa direzione spetta anche ai palestinesi. In questo modo si aiuta anche Israele a progredire, con la sua grande storia, nella collaborazione pacifica con i propri vicini. Lo “spettacolo” mostruoso del 7 ottobre, compiuto da bande armate e non dalla maggioranza del popolo palestinese sofferente, non può essere, però, ripetuto. E nemmeno perdonato.