La furia antisemita che stravolge tutta l’Europa – e l’Italia in misura consistente – merita una nostra particolare attenzione. Abbiamo urgenza – soprattutto a livello nazionale – di una strategia per affrontare un fenomeno così complesso ed eterogeneo, che si esprime in un ampio spettro di forme. Una strategia che deve essere concepita in modo olistico ed integrato, su diversi piani operativi, come richiesto dal Consiglio dell’Unione Europea nella Council Declaration on the fight against antisemitism and the development of a common security approach to better protect Jewish communities and institutions in Europe del 6 dicembre 2018, dichiarazione approvata per agire sul piano preventivo (ora oggettivamente urgente), culturale e dei comportamenti collettivi insieme al contrasto e alla repressione dei fenomeni discriminatori. Dobbiamo subito dare coordinamento e promozione ad una concreta collaborazione tra le istituzioni interessate, le comunità ebraiche, il mondo della cultura, delle Università, della scuola, della formazione, del sociale, dello sport, dei media, della politica, per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. Il contrasto all’antisemitismo – pregiudizio e/o odio verso gli ebrei in quanto ebrei – non va inteso, come alcuni credono, per errore o in mala fede, come un “privilegio” accordato agli ebrei rispetto ad altri gruppi sociali, etnici e religiosi. Per le sue peculiarità storiche, politiche, religiose e culturali rispetto ad altre forme di discriminazione, e per l’immane tragedia che ne è derivata, la lotta all’antisemitismo rappresenta una sfida nell’interesse generale di tutto il Paese e un compito indispensabile per la tenuta democratica, la coesione sociale e la convivenza pacifica della nostra società. L’antisemitismo in Italia ha una storia plurisecolare, che ha visto la segregazione nei ghetti, le umiliazioni quotidiane e il disprezzo conservatosi in alcune espressioni del linguaggio popolare (ad esempio, “rabbino” come persona attaccata al denaro…) nonostante il diritto all’uguaglianza conquistato con l’emancipazione. Questo ha avuto conseguenze devastanti per la vita ebraica (esclusione, deportazione e poi sterminio), e per l’impoverimento umano, civile e morale che ne è derivato per tutta la società italiana. L’antisemitismo può assumere anche la forma del terrorismo politico – e, in quest’ottica, le sedi delle istituzioni religiose e culturali ebraiche divengono potenziali obiettivi di attentati sanguinari (in Italia il più grave è stato l’attentato alla Sinagoga maggiore di Roma dell’Ottobre del 1982, per opera di un commando terroristico palestinese). La crescita dell’ostilità antiebraica in ambito islamico è il risultato di una saldatura pericolosa tra pregiudizi religiosi più antichi e una lettura politica portata avanti dal radicalismo islamista imperniata sull’idea di uno scontro radicale con la cultura occidentale (implicante anche la demonizzazione degli Ebrei e di Israele). L’antisemitismo di stampo nazi-fascista riemerge nelle attuali formazioni di estrema destra che compiono crimini d’odio, utilizzando elementi, simboli, gesti, immagini, tipici della propaganda nazista e svolgono una diretta o indiretta apologia del fascismo, per ideologia o per fini commerciali. Tra le forme di antisemitismo è diffuso l’odio contro Israele, la sua demonizzazione e l’equiparazione con il nazismo. Specie da parte di alcune correnti arabo-musulmane o islamiste o filopalestinesi o di estrema sinistra, si nega legittimità allo Stato di Israele e il suo diritto ad esistere e si manifesta ostilità verso l’ebreo in quanto tale. Permangono le spiegazioni che attribuiscono tutte le disgrazie dell’umanità ad un agente centrale: l'”ebreo” ieri, “Israele” oggi. L’incitamento al boicottaggio politico, economico, accademico o culturale viene utilizzato in chiave antisemita da queste correnti. All’interno delle Università, è tristissimo vedere dei giovani farsi strumentalizzare da personaggi, spesso infiltrati tra gli studenti, che raccontano falsità sulla realtà storica delle problematiche del vicino Oriente. Fa onore UNIMORE, l’Università di Modena e Reggio Emilia, che, attraverso l’iniziativa di Vincenzo Pacillo, Ordinario di Diritto Canonico ed Ecclesiastico, ha presentato recentemente la Carta delle buone prassi per il rispetto delle libertà delle religioni e di convivenza nei luoghi di lavoro. Come promuovere un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle diversità religiose? la Carta, promossa dal Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali di Unimore e dal centro interdipartimentale ORFECT, risponde all’esigenza di integrare il quadro normativo esistente con linee guida operative che rendano più efficace e concreta l’applicazione dei principi di non discriminazione e tutela delle convinzioni religiose. Attraverso indicazioni concrete su come gestire situazioni specifiche, come l’uso di simboli religiosi o la gestione di giorni di riposo per festività religiose, questa Carta permette un’applicazione uniforme delle regole in contesti aziendali diversi. L’adozione di una Carta per la tutela della libertà di religione e convinzione può inoltre diventare un segno distintivo di assunzione di responsabilità sociale per un’azienda, migliorandone la reputazione e rafforzando relazioni positive con gli stakeholder. Ricominciamo, dunque, dall’Università dove la cultura è sovrana e regina della ragione.