La pessima riforma delle Province, che porta la firma del ministro Del Rio e che si fonda sul più becero dei populismi, fa del sindaco di Bologna, votato dai soli bolognesi, automaticamente anche il Presidente della Provincia, e della Provincia un Ente di secondo grado – che, nel caso delle grandi città, si chiama città metropolitana – con meno poteri della vecchia Provincia: un vero demagogico pasticcio.
Già come in passato, il sindaco Matteo Lepore ha fatto bene ad adottare provvedimenti sui bambini delle famiglie monogenitoriali e sullo “ius soli”, che anticipano, seppur informalmente, gli indispensabili provvedimenti nazionali, ma farebbe altrettanto bene ad elaborare un progetto, in accordo con la Regione, di costruzione di una vera città metropolitana. Metterebbe così finalmente per terra una riforma seria delle istituzioni locali, forse la più seria di tutte le riforme istituzionali messe oggi in campo e, probabilmente, per questo dimenticata. Le riforme che partono dal basso, dagli enti più vicini ai cittadini, sono sicuramente le più giuste per affrontare i grandi temi di oggi, dai gravi problemi ecologici ai pesanti problemi sociali, e riavvicinare i cittadini al voto che con il 46,47 % delle ultime regionali sta raggiungendo livelli preoccupanti di non partecipazione.
Quindi un vero accordo tra Regione e Bologna per una vera città metropolitana sarebbe molto più importante del numero di assessori che il Presidente affida alla città e contribuirebbe a fare di Bologna, anche dal punto di vista istituzionale, la città davvero “più progressista” d’Italia.
Anche perché, l’affermazione che Bologna sia la città più progressista d’Italia, fatta dal sindaco qualche anno fa, fatica a trovare conferma nei fatti, se non, a volte, in approcci propagandistici come gli ormai dimenticati 30 all’ora.
Eppure, i campi su cui intervenire non mancano. Uno di questi, strutturale, sembra ormai perso: il nodo autostradale di Bologna è, infatti, il punto di collegamento tra nord e sud del Paese, un nodo vitale, la cui crisi, in termini di traffico e di rallentamenti, non può essere affrontata con un banale e problematico allargamento. Una amministrazione lungimirante avrebbe coinvolto i maggiori progettisti europei e mondiali perché il nodo di Bologna, dal punto di vista trasportistico, vale di più del ponte Morandi o del ponte sullo stretto di Messina. L’ allargamento penalizza inesorabilmente le periferie bolognesi e tutte le opere compensative, compensano, appunto, un danno che rimane un danno irreparabile per una città che non lo ha sufficientemente contrastato.
La città più progressista d’Italia, con la università più antica del mondo, pratica agli studenti gli affitti più alti di tutto il paese. A parte il drammatico sfruttamento operato, non vi pare carente l’impegno messo in campo dall’Amministrazione per innovative politiche abitative? Intanto, speriamo che il piano casa adottato con grave ritardo dal Comune dia buoni risultati in un futuro che non vorremmo troppo lontano. Sfido chiunque a trovare un bolognese che, a fronte di problemi sanitari di una certa gravità, non paghi per avere una prestazione in tempi sufficientemente rapidi. Se c’è un campo in cui dovremmo essere tutti eguali è la sanità: a scuola c’è chi e bravo e chi meno, al lavoro c’è chi e più capace e chi meno. Nella sanità dovremmo essere tutti eguali, ma non e così quando c’è da pagare: c’è chi può, c’è chi non può. C’è qualche problema serio nella pur primeggiante sanità emiliana. Leggo, in una intervista all’assessore uscente Donini, del progetto di ristrutturare con mezzo miliardo di euro l’Ospedale Maggiore. Se, dopo aver messo in forte disagio commercianti e utenti della strada per i lavori del tram, ci ripetiamo negli ospedali con gli ammalati, non faremmo la scelta migliore. Forse, una alternativa potrebbe essere quella di fare un ospedale nuovo più accessibile e trasformare il “Maggiore” in alloggi popolari e per studenti. La società invecchia, ma la vecchiaia sembra non rientrare tra le priorità della amministrazione. Mentre il sindacato tutela le badanti come se esse operassero per degli imprenditori e non per normali e, il più delle volte, non ricche famiglie, l’intervento pubblico nel settore manifesta tutta la sua inadeguatezza. Sono pochi esempi – e se ne possono aggiungere tanti altri, ad esempio nel campo della urbanistica, della sicurezza, della ecologia. Il progressismo è la ricerca del meglio per una società più giusta, un meglio praticato, non propagandato: qui sta la differenza tra una politica riformista e altri tipi di politiche.