Col nuovo secolo, la sinistra si è trovata a misurarsi anche con una crisi di rappresentanza. A scorrere le pagine della storia, a leggere gli scritti dei padri fondatori ci si imbatte in un protagonista che, in tempi lontani era definito ‘’il proletariato’’, in quelli più recenti la ‘’classe lavoratrice’’. Ma esiste ancora un popolo in cammino come quello del ‘’Quarto Stato’’rappresentato nel quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo? In verità, i tradizionali e secolari confini tra destra e sinistra non sono più gli stessi e non sono più in grado di evitare la contaminazione delle idee con quelle del populismo. Spesso le classi lavoratrici sono diventate la nuova base elettorale delle forze populiste, le quali promettono – nell’ambito di politiche isolazioniste, protezioniste e sostanzialmente xenofobe – il ripristino di quelle tutele e garanzie, messe in crisi dai processi economici e sociali connessi alla globalizzazione. La sfida planetaria aperta tra internazionalizzazione dell’economia, libertà ed integrazione dei mercati, da un lato, e neoprotezionismo, dall’altro, nel vecchio continente si traduce in un confronto decisivo tra europeisti e ‘’sovranisti’’. Questo scontro non ha soltanto un profilo di carattere istituzionale e culturale, ma si riversa immancabilmente sulle politiche economiche e del lavoro, in cui è più marcata e significativa la convergenza dei populismi di destra e di sinistra; al punto da condizionare anche le scelte dei partiti ‘’storici’’. In sostanza, è la demagogia a tenere banco, contro l’equilibrio dei bilanci pubblici, la sostenibilità dei sistemi di welfare: quelle condizioni che dovrebbero essere le premesse irrinunciabili della stabilità e della crescita. Le politiche tendono a confondersi. Le posizioni dei ‘’sovranisti’’ italiani sono note: mescolano tra loro, in una sintesi devastante, isolazionismo politico e demagogia sociale. Che fare allora? Il dramma dell’epidemia ha accelerato anche nei processi decisionali lo scontro sulla prospettiva dei futuri ordinamenti istituzionali, dell’economia, del vivere civile nel Vecchio Continente. In fondo si ripropongono ancora una volta quelle che Macron definì, nel suo discorso alla Sorbona, le ‘’passioni tristi dell’Europa’’: nazionalismo, identitarismo, protezionismo, sovranismo. Oggi il conflitto tra capitale e lavoro è solo un problema di distribuzione del reddito: una competizione fisiologica, che resta all’interno del ‘’sistema’’ e che ha perduto ogni significato escatologico. La sfida che deciderà il futuro dell’umanità si svolge tra l’idea della società aperta e il ritorno al sovranismo, alla chiusura dei mercati e del commercio internazionale. Una sfida in apparenza diventata ancor più difficile dopo i guasti provocati dalla pandemia che inducono ciascun Paese a curare le sue ferite.. Ma sono i valori della società aperta i soli in grado di indicare una prospettiva di salvezza e di ripresa. La crisi sanitaria, le guerre non rappresentano una nuova Torre di Babele il cui crollo confonde i linguaggi degli esseri umani. Il paragone corretto ci conduce piuttosto all’enorme palla d’acciaio che riporta l’ordine tra i concertisti nel film ‘’Prova d’orchestra’’ di Federico Fellini. Nel senso che occorre rendersi conto dei rischi e agire di conseguenza. Il socialismo del XXI secolo (inteso come istanza di progresso e di modernizzazione, non come resurrezione di una ideologia) sta dalla parte della società aperta, con quanti ne condividono i valori. I movimenti socialisti sopravvissuti (o travestiti) si dividono tra quelli che intuiscono l’esigenza di cambiare, ma sono impediti a farlo dal proprio reticolo di rappresentanza e di potere e quelli che hanno percorso fino in fondo la deriva della conservazione, nel paradosso di un ritorno alle origini, di un ricongiungimento con le classi lavoratrici. Non ha importanza – invece – dove risiede il popolo del ‘’Quinto Stato’’: se nei quartieri alti, nelle zone ZTL o nelle periferie urbane. Ampi settori della classe lavoratrice sono passati al ‘’nemico’’. La responsabilità di questa scelta appartiene soltanto a chi l’ha compiuta. Basta chiedere scusa ed assegnare d’ufficio un ruolo progressista a quella che una volta si chiamava ‘’classe operaia’’. Basta farne l’arbitro delle stimmate delle forze di progresso. Per ‘’provarci’’ ancora è necessaria una nuova alleanza politica tra le forze sociali innovative. Dovunque esse si trovino. Il futuro sta nella promozione dei meriti e nella tutela dei bisogni: Chi riuscirà in questa operazione – comunque si chiami la ‘’ditta’’ esposta – avrà afferrato il Proteo del XXI secolo.